Lunedì 08 Aprile 2019
Importante sentenza della Corte di Cassazione, che ha stabilito il principio secondo cui i versamenti in contanti dei compensi agli aspiranti giornalisti pubblicisti non dimostrano «la “regolarità” della retribuzione» ed è «quindi plausibile la simulazione, in tutto o in parte, del pagamento». Con la sentenza 24345/17, la seconda sezione civile del Supremo Collegio ha confermato una delibera del Consiglio dell’Ordine siciliano, respingendo la richiesta di iscrizione all’albo di un’impiegata di banca, collaboratrice di un periodico: a fare ricorso contro le decisioni del Tribunale e della Corte d’appello di Palermo, che avevano confermato la delibera dell’Ordine regionale, era stato il Consiglio nazionale dell’Ordine, le cui censure sono state ritenute del tutto infondate e che è stato condannato alle spese e a versare il doppio del contributo di ricorso.
Il collegio presieduto da Vincenzo Mazzacane, relatore Raffaele Sabato, ha ritenuto «condivisibili i criteri ordinistici», che ritengono «necessario il riscontro della regolarità dei compensi ai sensi di legge». Indispensabile anche «la tracciabilità dei pagamenti», perché gli editori hanno «interesse a non avere esborsi» e i collaboratori «ad ottenere l’iscrizione pur senza effettivi pagamenti»: per questo motivo, a dimostrare di essere stati retribuiti in contanti devono essere gli aspiranti pubblicisti, non è l’Ordine né il giudice a dover provare che i compensi non siano stati corrisposti.
«Esce rafforzata da questa sentenza della Cassazione – scrive in una nota l’Ordine della Sicilia – la validità delle nostre battaglie contro le iscrizioni “fabbricate a tavolino”, che ci hanno procurato acerrimi nemici e che sono fatte nell’interesse dei tantissimi che rispettano le regole e hanno diritto di non avere in tasca la stessa tessera di chi ha cercato scorciatoie. Spiace dover constatare però che per affermare un principio elementare, posto a salvaguardia della nostra categoria, siamo dovuti arrivare in Cassazione, misurandoci in una sorta di guerra giudiziaria con l’Ordine nazionale, che dovrebbe avere interessi comuni e non divergenti dagli Ordini regionali».
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