Mercoledì 29 Novembre 2017
di Enzo Del Vecchio
Entrare nel vecchio grande palazzo della Gazzetta del Mezzogiorno, palazzo Dioguardi, che campeggiava nella piazza della stazione centrale del capoluogo, dava –almeno in chi come me era cresciuto nella venerazione della carta stampata- la stessa emozione che si prova nel varcare l’ingresso di un tempio.
Per chi ha avuto la fortuna di lavorare in quel “tempio”, o solo visitarlo come capitò a me negli anni ‘60, era cosa nota che, all’ultimo piano, fosse ospitata assieme alla telescriventi, anche la sede di corrispondenza dell’Agenzia Ansa di cui era titolare Oronzo Valentini, che era contemporaneamente anche il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno. La sala telescriventi era il regno di don Peppino Di Benedetto, il re degli stenografi e telescriventisti, il grande capo di una corte di tecnici che con lui apprendevano tutti i segreti del lavoro di stenografo e dimafonista.
In quel regno aveva mosso i suoi primi passi Franco Iusco che, tra tutti gli stenografi piu’ giovani, aveva mostrato un valore assoluto, tanto da vincere, oltre a non pochi titoli nazionali, anche il Campionato del mondo di categoria. Era in assoluto il migliore nel Gabelsberger-Noe sistema superiore di stenografia, grazie al quale, non gli sfuggiva una sola parola di chiunque gli dettasse, anche velocemente, testi lunghissimi.
La sua abilità lo mise in evidenza a livello nazionale e fu così che venne assunto, come stenografo-dimafonista nella redazione centrale della Rai a Roma. Dopo qualche anno fu trasferito su sua richiesta nella redazione di Bari e capitò così, sul finire dei ’60, che incrociai la mia esperienza con la sua, dettando notizie di cronaca e sportive per il giornale radio (all’epoca non c’erano tg regionali).
Giorno dopo giorno scoprii –assieme alla simpatia di Teresa Bisceglie, Mina Dispoto e Katia Kufos (le tre prime donne della segreteria di redazione della Rai)- l’umanità di Franco Iusco, la sua precisione sul lavoro, la discrezione innata che lo portavano a rifuggire da una qualsiasi forma di pubblicita’, di se stesso e del suo lavoro. Il suo mondo, ovvero il mondo della segreteria di redazione all’epoca, era imperniato sulle cabine telefoniche all’interno delle quali si ricevevano le corrispondenze dalle varie province pugliesi. Fosse cronaca, sport o una mostra d’arte, Franco curava sempre che il corrispondente precisasse alla lettera ogni cosa. L’unica cosa che lo portava a “sconfinare”, dal suo carattere chiuso e taciturno, era il tennis: una passione incontenibile che, peraltro, nutriva anche da giocatore (ed era difficile batterlo).
Racconta Mina Dispoto che Franco, quando c’era un pochino di tempo libero ” riempiva i blocchetti di appunti con schemi di attacco e proiezioni di come la pallina sarebbe rimbalzata sul campo, con un rovescio fatto in un certo modo e da una certa angolatura”. Il tennis era l’unica cosa per la quale Franco abbandonava la sua leggendaria discrezione e si impegnava in discussioni e riflessioni che potessero allargare la sua conoscenza in questo sport. E proprio grazie al tennis consolidammo la nostra amicizia con incontri di singolo e di doppio giocati con altri colleghi.
Il secondo grande momento della vita professionale di Franco arrivò con il passaggio nei ranghi superiori del giornalismo vero e proprio, che in Rai vennero garantiti a chi come lui aveva maturato tutti i diritti per poterlo ottenere. Iniziò così per lui una seconda importante avventura che, prima da cronista, poi da inviato anche per lo sport, e infine da conduttore e caposervizio, lo vide trasformarsi in un giornalista a tutto tondo. Un giornalista sempre capace di mantenere la sua proverbiale discrezione, arricchita da una spiccata umanità. In tante giornate di lavoro non ricordo di averlo mai sentito alterato o in preda all’ira, quali che fossero le situazioni –anche le piu’ ingrate- imposte da questo mestiere.
Ciao Franco, la tua pacatezza è stata una lezione di vita per tutti noi. Non ti dimenticheremo.
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